La notte che arrivai al Café Gijón
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Negli anni Sessanta della Spagna franchista, il Café Gijón era una specie di parlamentino letterario, dove si facevano e si disfacevano le reputazioni degli scrittori, si tenevano a battesimo quelle dei pittori, si aggiravano toreri e avvocati, generali in pensione, ex repubblicani usciti dal carcere e poeti maledetti, qualche alcolizzato e un po’ di malavita. C’erano anche le attrici, spesso scambiate per puttane, e le puttane, spesso scambiate per intellettuali. Quando Francisco, Paco per gli amici, Umbral sbarcò in quel caffè una notte di sabato, non aveva trent’anni e nemmeno una macchina per scrivere, nonostante si fosse autopromosso «periodista». Il Gijón divenne subito il suo porto: «Sapevamo che per le strade di Madrid non eravamo nessuno e tutti andavamo al Café Gijón per sentirci qualcuno». Così, questo libro è il racconto di un’età mitica, quando lentamente, sospettosamente, la Spagna comincia ad aprirsi alla modernità, la dissidenza politico-ideologica fa timidamente capolino fra il fumo dei sigari e il tintinnare della copitas di cava, cinema e letteratura cominciano a farsi conoscere al di fuori dei confini nazionali e il tutto ha un senso di nuovo, la fine di un dopoguerra durato troppo a lungo. Con una prosa spontanea e precisa, irrispettosa e arbitraria, poetica e allegra Umbral racconta un tempo e un Paese.
Traduzione di Giuliana Calabrese
Pagine: 303
Francisco Umbral (1932-2007), scrittore e giornalista, tanto acclamato ma anche vituperato, è stato un geniale innovatore della lingua e un controverso maestro del giornalismo. Nella sua opera, profondamente trasversale ed autobiografica, ha esplorato la memoria collettiva e personale del periodo del franchismo e della transizione. Conosciuto soprattutto per l’opera Mortal y Rosa, dedicato al figlio morto a soli sei anni, un’opera di grande emotività e sensibilità estetica.