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Rosa e mortale

25,00 

Pubblicato nel 1975 e considerato tra i capolavori di Umbral, Rosa e Mortale è una tenera elegia dell’infanzia, un diario intimo dell’autore alle prese con l’esperienza della paternità e della tragica morte del figlio a soli sei anni. L’opera, fin dal titolo, ispirato al verso di Pedro Salinas «questa corporeità mortale e rosa dove l’amore inventa il suo infinito», racconta l’incanto dell’uomo dinanzi all’infanzia. Quell’infanzia «di cui non sappiamo mai nulla» si palesa per intero allo scrittore attraverso l’esperienza del figlio. Avviata ben prima della scoperta della malattia del bambino (nella sua prima stesura si sarebbe dovuto intitolare “Sto sentendo crescere mio figlio”), l’opera di Umbral si configura come un incessante flusso linguistico che spesso trasforma la prosa in poesia e la razionalità in irrazionale contemplazione del mistero della vita e della morte.


Prefazione di Marco Ottaiano
Traduzione e postfazione di Claudia Marseguerra

Pagine: 248

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Francisco Umbral

Francisco Umbral (1932-2007), scrittore e giornalista, tanto acclamato ma anche vituperato, è stato un geniale innovatore della lingua e un controverso maestro del giornalismo. Nella sua opera, profondamente trasversale ed autobiografica, ha esplorato la memoria collettiva e personale del periodo del franchismo e della transizione. Conosciuto soprattutto per l’opera Mortal y Rosa, dedicato al figlio morto a soli sei anni, un’opera di grande emotività e sensibilità estetica.

Descrizione

«Non portiamo mai un bambino per mano. È sempre lui che porta noi, che ci trascina. Imparare a lasciarsi portare dal bambino, affidarsi alla sua mano, loto che affiora negli stagni dell’infanzia. Il bambino ci porta nei regni del piccolo, si rivolge alla nostra infanzia addormentata, ci mette sul sentiero più stretto, percorso solo dalla formica, la coccinella, il chiodo solitario e il sasso che rotola.Andare con lui per la strada, per i campi. E ci dà la misura del nostro esilio, perché lui sì che appartiene ai cieli viaggiatori, alla luce del giorno, al rintocco dell’ora, e noi ormai non più.

Noi ci siamo allontanati con il pensiero, la riflessione, l’impazienza e l’ordine. Il bambino, che non ha programmi, si mescola immediatamente al clima, entra a far parte della meteorologia, è naturale nella natura, e tutto gli sorride, come ha detto il poeta che i liquidi sorridono ai bambini.Inutile provare a diventare come uno di questi piccolini, non già con ansia di purezza morale, ma con ansia di elementarità naturale. Impossibile, perché il bimbo, l’ho già detto, è la misura del mio esilio, e mio figlio è nato da me per vivere tutto quello che ormai non posso più vivere io…»

Francisco Umbral

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